Immagini, slogan, colori, luci, musiche, odori… tutto in quella corsia dice: Comprami!. E, molto spesso, il bravo consumatore, ubbidisce. Non c’è scelta. Non è un atto razionale. Anni di studi, fiumi di soldi, bombardamenti mediatici, lavaggi del cervello e tecniche sempre più affinate ci hanno condotto fin qui: a fidarci della pubblicità. A essere persuasi dalla comunicazione. A non fare domande. Ad agire d’istinto, per abitudine o assuefazione.
Eccoli, quindi. Schiere di consumatori inconsapevoli, pronti a sfoderare il portafoglio alla prima – illusoria – promessa del marketing. “Ti è utile, ti dona, è buono, è sano, è senza… è con… è indispensabile!”. La pubblicità, del resto, serve proprio a questo: a convincerti che un prodotto è necessario, anche se così non è. È il marketing, bellezza! E in pochi ne sono immuni.
Il risultato? Viviamo in un mondo in cui i prodotti che usiamo quotidianamente sono carichi di alcune delle sostanze chimiche più tossiche del pianeta. Autorevoli studi nazionali e internazionali dimostrano che l’esposizione continua a sostanze artificiali può essere correlata a reazioni allergiche, neurodegenerative, tumori e molte altre patologie.
Com’è possibile che la legge non ci tuteli?
Produzione, confezionamento, distribuzione e vendita sono spesso sottoposti a normative europee e nazionali non sempre stringenti. Anche se l’obiettivo principale, si legge, è la sicurezza dei consumatori, attraverso l’immissione in commercio di prodotti controllati e adatti per la salute del consumatore, le cose non stanno proprio così. Il problema è che le varie normative non considerano tre importanti fattori (più uno): l’effetto cocktail, l’esposizione combinata, l’effetto cumulativo, nonché il principio di precauzione su cui, in teoria, si dovrebbe fondare l’azione legislativa dei decisori politici europei.
Tanto per capirci, gli scienziati hanno determinato per ciascuna sostanza esaminata la quantità che un individuo può utilizzare senza correre troppi rischi (almeno allo stato attuale delle conoscenze). Ma se insieme a quel residuo, quel medesimo individuo ne assume un secondo, un terzo e un quarto? E se l’assunzione diviene costante nel tempo e quotidiana? Non basta più che le singole sostanze rimangano sotto i limiti stabiliti.
Quando si parla di sostanze chimiche, infatti, non bisogna considerare esclusivamente la singola molecola, bensì il mix che ogni giorno assumiamo, che può portare nel corso del tempo a pesanti effetti di accumulo nel corpo, sinergia e formazione di nuovi composti tossici.
A difenderci dovrebbe essere il cosiddetto principio di precauzione (art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea): nato per garantire la protezione dell’ambiente attraverso posizioni preventive in caso di rischio, si è poi allargato alla politica dei consumatori, al diritto europeo sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale. Dovrebbe far prevalere la tutela della protezione della salute pubblica, della sicurezza e dell’ambiente sugli interessi economici. Vi si fa appello quando vi sono effetti potenzialmente pericolosi, individuati con sufficiente certezza tramite una valutazione scientifica obiettiva. A questo possono seguire atti giuridici o una richiesta al produttore di diminuzione della dose giornaliera accettabile (DGA), il valore utilizzato in tossicologia che rappresenta la quantità tollerabile al giorno di una sostanza che un individuo in base al suo peso può sopportare.
Ma qual è il gap di questo meccanismo di precauzione? Ogni anno vengono immesse sul mercato decine di migliaia di molecole di sintesi. Questa iper-produttività spesso determina, per legge e per mancanza di volontà delle istituzioni preposte, che sia lo stesso produttore a dover dimostrare l’assenza di rischio.
Dal 2007, in Europa, l’immissione sul mercato di agenti chimici segue le disposizioni del regolamento in materia di registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (Reach), che obbliga le industrie che fanno domanda per la commercializzazione delle sostanze a fornire dati sulla loro sicurezza e a registrarle in una banca dati centrale presso l’Agenzia europea delle Sostanze chimiche (Echa).
Per capire che il sistema non è perfettamente efficiente basta vedere il numero delle sostanze chimiche commercializzate, seppur fuori norma. Secondo la Environmental European Bureau (Eeb), solo nel 31% i dati forniti dall’industria sono conformi, mentre il resto ha bisogno di ulteriori indagini. Ma non basta. Dei 4 milioni di prodotti chimici per la pulizia della casa creati dal 1915 a oggi, solo 1 su 5 è stato testato sui potenziali effetti tossici (Siegel-Maier, Karyn, 2015). E dagli anni ’50 si ripete una prassi viziosa: i ricercatori che si occupano della valutazione di sicurezza sono stipendiati dalle stesse case produttrici. E l’agenzia americana dell’FDA (Food and Drug Administration) e quella europea dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) si limitano a ricevere queste documentazioni senza effettuare necessarie analisi di veridicità.
Quando il controllo deriva dal controllore il dubbio è lecito
Davanti a questi dati la domanda, come si suol dire, sorge spontanea: siamo davvero liberi di scegliere? Abbiamo la possibilità di decidere con consapevolezza quale cibo mangiare, come prenderci cura del nostro corpo e della nostra abitazione? A quanto pare, no.
Per fortuna un’alternativa c’è. Ed è semplice, pratica e veloce. Possiamo scegliere di non farci prendere in giro dal packaging, di non farci abbindolare dalla pubblicità, di non essere schiavi di bisogni indotti, di prodotti inutili e dannosi. Come? Semplicemente girando le confezioni e imparando a decifrare la vera carta d’identità dei prodotti:
l’etichetta!
Sì, quella cosa sul retro, scritta in minuscolo, composta da nomi incomprensibili e numeri misteriosi… quella che tutti gli addetti ai lavori cercano di nascondere, truccare, mimetizzare. L’etichetta è il nostro alleato più prezioso e, al contempo, il più temibile nemico del marketing. In quel quadratino è racchiusa gran parte della verità che la pubblicità vuole celare o camuffare. Lì sta la chiave di (s)volta della nostra spesa, la vera scelta, fatta con consapevolezza e razionalità.
Imparare a leggere le etichette non significa solo fare una spesa più attenta, ma significa, soprattutto, permettersi il lusso di dire no a tanti consumi dannosi e superflui; riacquistare la libertà di scegliere con consapevolezza; guadagnarci in salute, soldi e qualità della vita.
Di tutto questo, e di molto altro ancora, si parla in “Occhio all’Etichetta! — Tutto ciò che devi sapere prima di fare la spesa” di Lucia Cuffaro & Elena Tioli.
Tutto ciò che devi sapere prima di fare la spesa
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