La raccolta delle olive è una festa. È una tavola apparecchiata con il corredo buono. I tovaglioli posati con cura, uno per ogni albero. È una sposa a cui si sistema il velo. Ben tirato. Prendi le punte. E i capelli. Con dei pettini lunghi lunghi e i movimenti ritmati. Su e giù. Con decisione, ma con dolcezza. Che in certi gesti c’è qualcosa di sacro anche se non te lo spiegano.
È ottobre, e ognuno ha il suo da fare. Si parte tutti insieme, anche se non si è preso appuntamento. Che basta buttare l’occhio al di la di un muretto per capire che non hai sbagliato il tempo. È tutto pronto.
Lo sfarfallio delle foglie spazzolate col sole contro è un po’ magico. T’incanta. E poi la pioggia di olive sulle coperte verdi. Una, due, tre, cento, mille…. Quintali e quintali, in pochi alberi. La raccolta nei cassoni, che si riempiono più velocemente di quanto si poteva immaginare. Ma dove stavano tutti questi frutti?
Le parole, le risate, i silenzi. Le braccia che si muovono, gli alberi che ti guardano. I teli da spostare. Le pietre da sistemare.
Il pranzo sotto gli alberi, il vino e i friggitelli fritti al momento. Che quando si lavora vien fame. Dicono. Ma io di fame quel giorno non ne avevo. La mia prima raccolta delle olive è stata un’abbuffata di emozioni.
Poche decine di alberi all’orto urbano Effetto Terra – Campagneros di Bari. Qualche centinaio di metri deliziosi, sottratti all’incuria, al degrado e al cemento. Attorno palazzi, balconi e sguardi indiscreti… “Nel 2019 c’è ancora chi disturba la quiete pubblica con degli sbattitori! Non sia mai!”.
Vebbè, poco importa a una ventina di persone felici di fare la differenza. E in quel pezzetto di terra di differenze ce n’è tanta. C’è la differenza tra il dire il fare. E tra il fare e il fare bene. Fare del bene.
Infine il frantoio, un luogo magico. È lì che si consuma la nottata dopo la cerimonia. È un posto per i pochi che restano fino alla fine, a raccontarsi com’è andata la giornata. È per chi scarica i cassoni, per chi li carica e per chi li sposta. È per la macina, le granule e il reattore. È per chi sa che mancano ancora tante ore prima del meritato riposo. Ma il frantoio è soprattutto per chi assaggia l’olio per primo. Con il dito dritto dentro il fusto. Ancora tiepido. L’olio più buono, quello che picca. Quest’anno è eccezionale.
E tu lo vuoi? Lo voglio.
Ps. Vi ho visti, con le vostre schiere di olivi nani, le vostre macchine per la raccolta, i vostri veleni e i vostri scuotitori. Vi ho sentito dire che questo è il passato, che non servono più le braccia e neanche i sorrisi. Forse neanche la terra e le radici. Si può fare benissimo senza, per guadagnarci ancora un po’. E poi magari con quei soldi comprarsi un olio buono, il ricordo di una festa e di un sapore che non torneranno più. Siete la cosa più lontana dal futuro che oggi io possa immaginare.
Il documentario “Legno Vivo – Xylella, oltre il batterio” che stiamo girando insieme al Bosco di Ogigia è quasi concluso. In Puglia mentre c’è chi raccoglie c’è chi distrugge, senza pietà: vita, terra e storia. Parleremo anche di questo. Di una coltura e di una cultura che rischiano di sparire per sempre. Per chi volesse sostenerci e seguire il nostro lavoro può farlo qui.