Stefano e Pinuccia sono due signori sulla sessantina. Felici. Ancora innamorati. Si vede. Due figli laureati. Sistemati. Uno ha scelto di continuare il lavoro del padre: agricoltore, allevatore. Un lavoro che anche Stefano si era scelto, negli anni ’60, quando la guardia di finanza l’ha scartato per pochi millimetri d’altezza e quando alla vita da impiegato ha preferito quella in campagna. Profonda campagna. Quella che per arrivarci devi percorrere chilometri di strada dissestata senza incontrare anima viva.
Ma quando arrivi le anime vivissime sono due e anche di più. Stefano e Pinuccia ci accolgono con tavola imbandita e bicchieri pieni. È una tarda mattinata di una domenica di fine luglio, ma sembra il pranzo di Natale. Vino, formaggi, salumi… tutto fatto in casa. La mia mano cade su una cassetta di albicocche brutte. Brutte, brutte. Piccoline, un po’ rinsecchite, con macchie e grinze. Ne assaggio una, un’altra e un’altra ancora. Sono strepitose. Di un sapore incredibile. Avete presente il sapore vero dell’albicocca? Quello che non si sente più? Era tutto lì!
“Non gli diamo niente, niente veleni e niente acqua” mi spiega Pinuccia. “Ormai da vent’anni abbiamo scelto di passare al biologico” aggiunge Stefano. “Per noi, per gli animali. Facciamo tutto biologico: dalle granaglie all’orto. A casa nostra non si usano più pesticidi da tanto”.
Una scelta inconsueta per quei tempi e per quei luoghi. “Il biologico qui non paga, lo facciamo solo per noi – continua – Abbiamo pochi capi di bestiame che nutriamo tutti bene. La mungitura la facciamo ancora a mano”. Nel cortile non ci sono macchinari imponenti o trattori. Qui il tempo sembra essersi fermato. “Alle grandi quantità abbiamo scelto la qualità… della vita”.
Usciamo nell’orto, un orto bello e rigoglioso con frutta e verdura a volontà. “Ci autoproduciamo quasi tutto e abbiamo tutto ciò che ci serve – affermano – ed è tutto naturale qui. Sono scelte… Lo facciamo per vivere in modo sano. Ci piace mangiare bene, vivere bene. Siamo felici così”.
Prendo un’altra albicocca. La soppeso sulla mano. Penso che in genere si acquistano a peso. Più pesano più valgono. E per farle pesanti e lucide e perfette si riempiono di acqua e pesticidi. Paghiamo a peso acqua e veleni. Questa invece non ha ricevuto neanche una goccia d’acqua se non di quella piovana. Nessuna sostanza aggiunta. “Assaggia questa che buona!”. Pinuccia me ne passa una beccata, presa direttamente dall’albero. Diffido. “Qui ce n’è per tutti, per gli uccelli, per gli insetti e pure per noi. Quelle che scelgono gli animali vuol dire che sono le più buone”. Mi ha convinto. La mangio. È buonissima davvero.