Ci sono posti che non ti vengono a cercare. Sono riservati, insicuri, occupati, non si propongono e non si pubblicizzano. Per scoprirli ci devi capitare per caso, o per invito. A noi è capitato l’invito per caso.
“Chi viene a Ittireddu? Facciamo un gemellaggio con la Ciociaria. Parliamo di agricoltura eroica, turismo rurale, economie solidali… Vediamo cosa ne esce”. La proposta di Arduino Fratarcangeli è rimasta pochi attimi sospesa nel vuoto, oscillando tra le parole “Itti” e “Itti… che?”. Pochi attimi e poi “Ok, andiamo”. Che a certi inviti rifiutare pare male.
Così ha avuto inizio un viaggio nella Sardegna più interna e sperduta, dove non prendono i cellulari, la segnaletica è a dir poco modesta e il mare non si vede manco col lanternino. Cinque giorni incredibili passati a Ittireddu, piccolo comune in provincia di Sassari, ai piedi del monte Zuighe, su una collina denominata monte Ruiu sovrastata dal vulcano Lisiri. Uno spettacolo di colori e energia.
Cinque giorni incredibili che non si possono raccontare. Non si può raccontare l’accoglienza che un intero paese è riuscito a dare a una manciata di stranieri curiosi. Le porte aperte e i sorrisi calorosi. Non si possono raccontare le imprese di poche centinaia di persone che condividono un pugno di strade e di case immerse in una terra che sembra uscita da un film di Sergio Leone. Sono 450 abitanti, attivi come fossero 45mila. Impossibile riportare i sapori. Che in bella compagnia sono sempre più buoni. Non si può spiegare l’odore di pecorino che invade ogni cucina subito dopo le parole “Buongiorno, cosa vi offro?” e che ha impregnato la nostra macchina perché Sebastiano prima di partire ci ha regalato un vassoio in sughero fatto a mano (da lui), che conservava in cantina per l’occasione speciale e l’occasione speciale eravamo noi. Bisogna provarlo.
Andate a Ittireddu. Chiedete di Maria Rosa Pala, la miglior guida turistica che un paese possa avere. Non solo perché conosce tutto e tutti ma perché di tutto e tutti sa tirare fuori la parte migliore. Chiedete di Elio Farris, assessore alla cultura che la cultura ve la dona proprio a manate. E chiedete di assaggiare la sua Fili ferru fatta in casa, che lui tanto è astemio e non lo beve. Chiedete di Franco, il sindaco archeologo e con lui scoprirete quanta storia riesce a contenere quel minuscolo paesino e ve ne stupirete. I Nuraghi, la Necropoli di Partulesi, le cisterne romane, il Ponte ‘etzu, le Domus De Janas… Un meraviglioso olivastro millenario dal diametro gigante. Fatevi accompagnare da Basilio ad abbracciarlo. E poi domandate di Sebastiano e Gianni, di Pinuccia e Stefano e dei pastori sardi e dei loro prodotti. Ma soprattutto chiedetegli della loro vita e di cosa sanno fare. Formaggio a parte.
Andate a trovare Giammario, il bar Zio Pedde alla fine del paese e chiedetegli del suo vino. Assaggiate i Liki, la spianata sarda fatta da Luigi, giovane ragazzo che si è messo a produrre e vendere il prodotto locale. Ma a far colazione andate da Tonia, che ha i cornetti freschi. E poi sì, andate anche al supermercato, che è di Simona e della sua famiglia. Lì tra le corsie troverete tanta Sardegna, quella più vera e sincera. Uova, carne, latte e formaggi, frutta e verdura, tutti prodotti bio, locali e a km0. Perché per scelta Simona preferisce vendere ciò che viene fatto “in casa” o dal vicino di casa. Ma soprattutto fatevi invitare da Simona al suo forno. Che non è aperto al pubblico, ma che si apre sempre agli amici (o agli amici degli amici). Così scoprirete il significato più autentico di “ospitalità sarda” (e di “panza piena”).
Insomma, se vi capita di perdervi nell’antica regione del Logudoro, fatevi trovare da Ittireddu. Oppure andateci direttamente, dite che vi ha invitato Maria Rosa. Ma andateci col cuore aperto, gli occhi spalancati, la pancia e le mani vuote, che tornerete con tutto pieno.