Era il 2 gennaio 2015 quando decisi che non avrei più messo piede in un supermercato. All’epoca non sapevo dove mi avrebbe condotto questa scelta, non sapevo chi avrei incontrato su questa strada e chi sarei diventata percorrendola. Oggi lo so: una persona migliore, più consapevole e felice. Ancora in cammino ma con una voglia di camminare e una gioia nel farlo che mai avrei pensato di avere! Questo è il primo post che ho scritto quell’anno in cui iniziai a rivoluzionare totalmente la mia spesa e la mia vita.
Premetto, vivo a Roma, in un appartamento senza giardino e diciamo che non mi è proprio immediato uscire fuori casa e raccogliere i frutti offerti dalla natura… quindi la scelta di vivere senza andare al supermercato non è comoda, ma questo non significa che sia complicata. Anzi! Per certi versi mi sono semplificata e abbellita la vita.
Come?
Innanzitutto entrando a far parte di un Gas. Tramite Gas acquisto tutte le settimane a chilometro zero da produttori locali frutta e verdura bio e di stagione (con ancora le lumachine attaccate!). Sempre con il Gas acquisto pasta, cereali, farina, vino, prodotti igienici e per la casa e molto altro ancora, con la consapevolezza di acquistare da produttori che basano il proprio lavoro sulla responsabilità, sulla solidarietà e sulla sostenibilità. Ovviamente anche il portafogli ne gioisce: i prezzi, infatti, grazie alla filiera più corta e all’assenza di imballaggio (dove è possibile) sono più contenuti.
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Poi ho iniziato a riscoprire piccole realtà locali come i negozi leggeri, in cui si fa la spesa sfusa, riducendo tantissimo l’impatto ambientale, oppure i mercati, privilegiando i produttori biologici a chilometro zero e creandosi una rete di “fiducia”.
Dall’acqua nelle bottiglie di plastica sono passata a quella in vetro, che mi arriva a casa in genere una volta al mese (senza una grande differenza di prezzo e, oltre a inquinare meno, faccio molta meno fatica!).
Sto sperimentando, con non poche soddisfazioni, l’autoproduzione e i rimedi della nonna! A parte qualche intoppo molto divertente con dentifrici e saponi, il farsi le cose da sé riserva davvero bellissime sorprese. Pane, pasta, dolci, fermentati… quello che si riesce a fare con le proprie mani e con materie prime a basso costo e di ottima qualità è davvero sorprendente!
Infine c’è il web che può dare una grossa mano. Realtà come Kalulu.it o L’Alveare che dice Sì (servizi che mettono in contatto produttori e consumatori realizzando una filiera cortissima) sono un ottimo sistema per rifornirsi di prodotti freschi, conoscendone la provenienza, limitando i danni ambientali e favorendo piccole e valorose realtà (ne parlerò in un prossimo post).
(Vorrei anche dire che ho un orto… ma i 40 metri quadri di orto urbano per ora mi hanno dato solo qualche insalatina e qualche broccolo. Buonissimi! Ma non fanno testo… Anche se le aspettative sono grandissime!)
Detto questo, arriviamo al dunque, perché lo faccio?
In realtà lo faccio perché mi fa stare bene. Mi fa stare bene conoscere da dove arriva quello che mangio, sapere in che tasche vanno a finire i miei soldi (nei limiti del possibile s’intende!), evitare di finanziare certe marche, certe multinazionali e certi progetti e invece incentivare alcune forme di produzione alternative, più sostenibili e giuste.
Lo faccio perché quando ho scoperto che l’80% dei costi dei prodotti agricoli che compri al supermercato è dato dai costi di trasporto, imballaggio, logistica e intermediazione… bè, ho pensato che non fosse proprio normale come cosa.
Lo faccio perché da quando lo faccio spendo meno (non comprando più molte delle cose inutili che quando sei dentro a un supermercato ti sembrano indispensabili) inquino meno, e non ho più il cesto della spazzatura sempre stracolmo, pronto per essere svuotato (cosa che mi annoiava tantissimo).
Lo faccio perché così facendo ho conosciuto persone bellissime e instaurato relazioni, abitudine, pratiche che mi arricchiscono davvero e mi fanno ben sperare.
Lo faccio perché, come suggerisce Pollan, non si dovrebbe mangiare niente che nostra nonna non mangerebbe. E con questo escludiamo tutti i prodotti con etichette lunghe più di due righe riportanti termini astrusi che non si capisce cosa siano. Cibi semplici, sani e più naturali possibile. E’ una questione di salute.
Lo faccio perché ho letto che la mia impronta ecologica (ossia l’indicatore utilizzato per valutare il consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità della terra di rigenerarle) è di 4,2 ettari, ma in realtà (calcolando le risorse italiane rispetto al numero di abitanti) mi spetterebbe un solo ettaro. I tre ettari in eccedenza li rubo a un altro paese.
Lo faccio perché, come dice Ugo Bardi, la sostenibilità non è una scelta. In un mondo dalle risorse limitate la sostenibilità è un obbligo, che piaccia o non piaccia. E forse è il caso di iniziare a pensarci…