C’è chi resiste. Agli alberi abbattuti, ai suoli avvelenati, alle terre svendute. Alle minacce, ai soldi, al deserto. Alle monocolture e alle monoculture. C’è chi resiste.
Ci sono agricoltori che invece di avvelenare i suoli – e i consumatori – li riqualificano. Invece di disperdere le conoscenze le conservano, le affinano e le tramandano. Come i semi.
Ci sono contadini che coltivano sementi antiche. Non per moda o per inganno, ma perché sanno che la natura sui semi è molto più avanti di qualsiasi laboratorio. E su quel terreno (proprio su quello) quel seme adesso (ma proprio adesso) ci cresce a pennello. Senza acqua, senza pesticidi, senza teloni di plastica a oscurarne la vista, che non c’è niente di più bello che crescere all’aria aperta.
Ci sono ristoratori e albergatori che “qui trovi solo prodotti salentini”. Vini salentini, paste salentine, ortaggi salentini, “perché se non ci aiutiamo tra di noi chi ci deve aiutare?”. E così ci sono filiere corte, non solo perché è bello ma soprattutto perché è giusto. È giusto che ai produttori sia dato il giusto compenso. Quello che la Grande Distribuzione non gli darà mai. Ed è giusto riconoscere che chi si prende cura di un pezzetto di terra è ben più che un agricoltore. È un custode. È un eroe. Lo è ovunque, ma in una terra così martoriata lo è di più.
C’è chi fa la trebbiatura, come una volta. Perché certe cose non vanno perse. Non vanno perse le macchine e le persone. Finché si possono aggiustare, riparare, sistemare, consolare. Non vanno perse. Non vanno perse le braccia che sanno fare e gli occhi che sanno guardare. Che sanno riconoscere che c’è del valore in quel che si fa. Non va persa quella dignità e quell’orgoglio del fare il grano e del fare il pane. Del fare.
Ci sono i potatori. Quelli che lo fanno con criterio e con amore. Quelli che segano a mano. E che sanno dove mettere le mani. “Perché potare non significa far legna”. E così ulivi che a maggio erano visibilmente in sofferenza, con tante foglie marroni e diversi rami secchi, a distanza di pochi mesi sono un’esplosione di verde e di gioia. (Altroché innesti.)
C’è chi la domenica è la pasta fatta in casa, i fichi sono a seccare sul tavolo fuori, le passate di pomodoro appena fatte a riposare nella bacinella azzurra in cantina, la marmellata di prugne in dispensa, il rumore della macchina per far le mandorle fuori dalla finestra. Potrà sembrare il passato, ma è solo il modo migliore per prepararsi per l’inverno. E per il futuro. Una gustosissima forma di resilienza e di resistenza.
C’è chi trasforma la distruzione in rinascita. Ulivi abbattuti barbaramente che rifioriscono come cespugli. Esplosioni di polloni che ti dicono che lì c’è molta più vita di quella che potrai mai ammazzare. Immaginare.
Presidi che diventano concerti. Lacrime che diventano sorrisi. Gruppi d’acquisto solidale, come la forma più bella di protesta e di reazione. A un sistema che ci vorrebbe tutti soli, zitti e ubbidienti consumatori. Non è così.
C’è chi ti presta casa e con la casa un’intera spesa. “Lì c’è il fico, lì l’uva, qui i pomodori, là l’orto, lì il frutteto… prendete quello che volete”. E tutto è a portata di mano. Così col giardino ci metti insieme la colazione, il pranzo e la cena. Buone di un buono che non ha prezzo. Letteralmente.
La Puglia è una terra che ti sfama a ogni angolo di strada.
Altroché supermercati.