Dentifrici, scrub e creme esfolianti, glitter, trucchi, saponi e detersivi. Ormai tantissimi prodotti del supermercato hanno in sovraimpressione la scritta “con microgranuli“. Una parolina magica che spesso fa lievitare il prezzo del prodotto insieme alle quantità di plastica in mare e ai problemi con essa connessi.
Cosa sono i microgranuli?
Proprio così. Per microgranuli s’intendono infatti micro-sfere di polietilene o polipropilene. Ovvero: derivati del petrolio. Plastica. La stessa sostanza utilizzata per zerbini, stoviglie, cruscotti, tappi, custodie dei CD, capsule e bicchierini per il caffè, noi paghiamo oro per spalmarcela addosso, strofinarci i denti, lavarci i panni. Non un toccasana insomma, né per il nostro corpo, né per l’ambiente.
Queste microplastiche a causa delle loro ridotte dimensioni (inferiori ai 5 mm), riescono a passare intatte attraverso qualsiasi filtro della rete fognaria, andando a finire direttamente nelle acque aperte. Le conseguenze sono disastrose: liberate nello scarico, queste particelle non possono essere recuperate per il riciclo, né si decompongono negli impianti di trattamento delle acque reflue, e inevitabilmente finiscono nei mari, nei fiumi e nei laghi, dove rimangono per lunghissimo tempo.
Quanto incidono i microgranuli sull’ambiente e sulla nostra salute?
Nel 2013, uno studio effettuato dall’Università del Wisconsin sui Great Lakes, pubblicato su Environmental Science & Technology, ha denunciato che quotidianamente vengono riversati nelle acque dei laghi più di 8 miliardi di microgranuli, l’equivalente di circa 300 campi da tennis.
Nel 2015 il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) ha pubblicato il rapporto Plastic in cosmetics: are we polluting the environment through our personal care?, una raccolta di informazioni e dati scientifici sul collegamento tra cosmetici e inquinamento marino da plastica. Secondo le analisi di laboratorio, in un comune gel doccia, per esempio, sarebbe contenuto tanto materiale plastico quanto quello usato per realizzare l’intera confezione.
I numeri che emergono dal rapporto dell’Unep sono da capogiro: solo nel 2012, in Europa sono state utilizzate 4300 tonnellate di micro perline polimeriche. E le cifre continuano ad aumentare, con tutto ciò che ne consegue: finendo nella catena alimentare di pesci, crostacei e molluschi, questi microgranuli sono, infatti, un pericolo anche per gli esseri umani che se ne cibano.
Insomma, ancora una volta, paghiamo per fare danni: all’ambiente sempre più inquinato; alla nostra salute, sempre più a rischio; e anche all’estetica perché, alla fine, quanto può far bene, a lungo termine, cospargerci di petrolio?
La richiesta dell’ECHA
Per tutti questi motivi l’ECHA, l’agenzia europea delle sostanze chimiche, ha chiesto di metterli al bando almeno nei prodotti cosmetici, in quelli detergenti e, udite udite, in quelli agricoli. Perché anche se la cosa è poco nota, proprio l’agricoltura è uno dei settori che impiega più microplastiche al mondo.
Anche in Italia si sta lavorando a una normativa che ne metta al bando l’utilizzo almeno nei prodotti cosmetici. Ma, nell’attesa, molto possiamo fare come consumatori, evitando con molta attenzione di comprare i prodotti che li contengono.